La colonna sonora di AMY, il sogno di Milo non accompagna soltanto le scene: le interpreta, le contraddice, le amplifica. In particolare, alcune scelte musicali hanno un valore simbolico profondo che vale la pena raccontare, perché dicono qualcosa in più sul cuore filosofico e poetico del film.
Il film si apre con la folla degli studenti che entra a scuola come in un rituale meccanico, una coreografia inconsapevole del quotidiano, con un montaggio accelerato che richiama lo stile di Koyaanisqatsi, in cui il tempo si deforma e il comportamento collettivo assume significati deliranti.
Ultimo tra la folla appare Gregory: sicuro di sé, spavaldo, potente, accompagnato da un accenno dell’attacco del Presto dell’“Estate” di Antonio Vivaldi, una delle prime e più celebri composizioni per violino solista e orchestra, che introduce ulteriore tensione. Non è solo la furia della natura, la tempesta estiva che irrompe nella quiete e travolge ogni cosa. È il singolo che contraddice senza timore la folla, le si impone.
Nel film, il violino – suonato dal vivo da Giulio Zanovello – si libra nella nuvola cosmica che compone lentamente la scritta AMY. È un gesto di resistenza, una forza individuale che tenta di contenere il caos. Il violino reagisce, lotta fino a placare la tempesta e dissolverla. Ed è proprio allora che entra in scena Milo, estraneo al conflitto, in rottura silenziosa con il mondo che lo precede.
Un asse musicale fondamentale nel film è quello che unisce Niccolò Paganini e Franz Liszt con i Grand Paganini Étude n. 1 e 6. Quest'ultimo – una delle trascrizioni più celebri del Capriccio n. 24 – è presente in molte scene chiave a carattere psicologico: accompagna l'ansia notturna di Julie e Martina, si insinua durante la lezione in cui la professoressa relativizza il funzionamento dell’amigdala, e avvolge la “confessione” (silenziosa) di Milo. È la musica del tormento interiore, della consapevolezza che qualcosa è sfuggito di mano, durante la corsa impellente di Julie e Milo verso il laboratorio.
Liszt aveva vent'anni quando ascoltò Paganini in un concerto a Parigi nel 1832. Ritiratosi dalle scene dopo la morte del padre, stava attraversando un periodo personale difficile. Dopo il concerto scrisse: "Paganini mi ha aperto un mondo nuovo. Voglio diventare per il pianoforte ciò che lui è per il violino.”. Da quel momento si impegna in uno studio ossessivo, sviluppando una tecnica pianistica mai vista prima. Nel giro di pochi anni (dal 1835 in poi) comincia la sua ascesa leggendaria come il più grande pianista del secolo.
Liszt trasforma la tecnica visionaria di Paganini in dramma interiore: le sue variazioni diventano stati d’animo, ossessioni, sogni di potenza e desideri di redenzione. In AMY questa musica è il respiro profondo di Milo, la sua volontà di cambiare il mondo, ma anche l’accettazione della complessità dell’animo umano. Come nei brani di Liszt, anche nel film la tensione verso la perfezione è destinata a implodere: ciò che nasce come controllo razionale diventa disordine emotivo, e l’equilibrio crolla su sé stesso.
Due presenze musicali importanti nel film sono Giuseppe Verdi e Wolfgang Amadeus Mozart.
La forza del destino di Verdi accompagna una scena grottesca e straniante. Dietro la ripresa dal basso di una figura danzante, appesi alla parete, un orologio e il crocifisso tipico delle aule italiane. Il contrasto tra la sensualità leggiadra della danza e i simboli del tempo e del dovere religioso amplifica il senso di straniamento: ciò che dovrebbe essere “normale” è sovvertito, e la musica verdiana, carica di fatalismo, lo sottolinea tragicamente.
Il Dies Irae, dal Requiem di Mozart, accompagna il momento cruciale in cui Milo ripara il suo errore “nel giorno dell’ira”
Dies irae, dies illa
Solvet saeclum in favilla:
Teste David cum Sibylla.
Giorno d’ira, quel giorno
Discioglierà il mondo in cenere,
come predissero David e la Sibilla.
Quantus tremor est futurus,
Quando iudex est venturus,
Cuncta stricte discussurus!
Quanto terrore ci sarà,
quando il giudice verrà
per giudicare ogni cosa con severamente!
È la scena più potente e visionaria del film, Milo e i suoi amici non sono sottoposti al giudizio perché sono artefici della loro redenzione, non hanno colpe, sono innocenti. Mentre l’ira suprema si scaglia sui dannati Julie balla piena di gioia.
Nel secondo atto del film entrano in scena due compositori che trattano la danza con un linguaggio bivalente: Johannes Brahms e Béla Bartók.
La Danza ungherese n. 7 di Brahms sembra festosa, ma è punteggiata da rallentamenti e sospensioni che suggeriscono un sorriso venato di tristezza. La scena in cui Gregory porge un fiore a Julie è surreale e toccante: ma la bellezza del gesto è artificiale e Julie infatti passa oltre.
Le Romanian Folk Dances di Bartók, più leggere e vivaci, accompagnano le scene assurde di comportamenti fuori controllo. Bartók aveva raccolto quelle melodie nei villaggi, per salvarle dall’oblio. Sono delicate ma un po’ malinconiche e mettono così in evidenza il dubbio che comincia ad aleggiare: era meglio il caos o è meglio la normalità? Il ritorno alla quiete mostra un lato di tristezza.
Antonio Vivaldi – Violin Concerto in G minor, RV 315 'Summer' - III. Presto
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Franz Liszt – “Grandes études de Paganini, S. 141. Grand Paganini Etude no. 1 - e no. 6 - Am”
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Niccolò Paganini – “Capriccio n.24 in La minore"
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Wolfgang Amadeus Mozart – “Requiem: Dies Irae”
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Johannes Brahms – “Hungarian Dance No. 7 e No. 2”
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Ludwig van Beethoven – “Sonata in C# minor” (Moonlight Sonata)
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Béla Bartók – “Romanian Folk Dances Sz. 56 – II. Braul” e “III. Pê-loc”
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Giuseppe Verdi – “La forza del destino”
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ono – “Fly Blackbird Fly: rewrite”
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Karl Blau – “Noah Richard's Sun”
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LEO – “Apprensione (Evolution)”
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